Si parla tanto di cura, oggi più che mai.
Cura di se stessi. Cura dei propri cari. Cura del proprio spazio. Cura del proprio tempo. Cura delle parole. Cura delle propria casa. Cura delle relazioni. Cura dei propri pensieri. Cura del proprio cibo.
Credo non esista al momento termine più universale e più utilizzato.
Al suo interno c’è così tanto che il rischio di perdersi è veramente concreto. Un po’ come con la borsa di noi donne: a volte è talmente carica da nascondere ciò che ci serve davvero!🤷♀️
Ma la cura non può e non deve in alcun modo sfuggirci di mano.
Per anni ho pensato che prendermi cura del mio corpo, dei miei figli, della mia vita e della mia casa significasse applicare le conoscenze migliori che avevo a disposizione sul campo.
Il cibo più giusto per noi. Lo stile di vita più rispettoso. La lettura più vera delle emozioni. Delle parole. L’attenzione. La presenza. Tutti concetti bellissimi e affascinanti che hanno catturato la mia mente, impegnandomi in lunghe ricerche che non trovavano mai fine.
Più approfondivo, più il diametro si allargava.
E la forbice di ciò che nella vita di ogni giorno entrava era sempre più stretta.
Quante cose dovevo fare per prendermi cura di me, dei miei cari e della mia vita?
Il passaggio al credere che tutto ciò che avevo appreso fosse inutile è stato inevitabile. Un po’ come accade nei video games quando aperta una pota se ne aprono altre dieci: arriva il momento in cui perde di senso continuare a giocare un gioco sempre uguale a se stesso!
Ma allora, che cos’è la cura?
Gli antichi greci utilizzavano tre parole per indicare ciò che il latino ha poi riunito nel termine “cura”:
- merimna
- therapeia
- epimeleia
Merimna è l’azione volta a conservare la vita.
Fare tutto ciò che è necessario al fine di non mettere in pericolo la nostra vita è l’essenza primaria della “cura”.
Spesso cadiamo nell’errore di pensare che per proteggere la nostra vita sia necessario non agire. Non fare per preservare intatto ciò che c’è. Ma i greci sapevano che se nulla si distrugge tutto si trasforma. Anche la vita.
Ogni passo fermo, ogni sguardo retrospettivo, ogni presa di posizione irremovibile, ogni paura di avanzare è figlia potenziale della malattia. La malattia del “mal vivere”. Quella paura atavica al cambiamento che ci chiede sempre e solo una cosa: azione.
Quell’azione che è già in sé la cura.
Perché è così che diventa therapeia. Quando una parte di noi si ammala, l’azione volta a curarne le ferite, siano esse nel corpo come nell’anima, per gli antichi greci è terapia. Ovvero cura. Cura di quella parte di noi che non abbiamo saputo riempire della nostra azione.
Ogni malattia è vuoto. Vuoto di noi.
Oggi si parla veramente tanto di terapia.
Il momento che stiamo vivendo ci spinge a questo, alla cura delle nostre ferite. Nel corpo come nell’anima. La cura medica, gli ospedali, gli ambulatori sono fortemente messi alla prova. È sufficiente aggirarci tra i corridoi deputati alla cura per vederlo. La stessa professione del terapeuta, qualunque ne siano i piani di intervento, è oggi messa alla prova. Che si tratti di corpo o di psyché ogni parte di noi ha bisogno di noi.
La cabala insegna che nella radice ebraica del nome di ogni malattia è già inclusa la sua risoluzione.
Al pari di una matassa di lana, srotolare le consonanti che compongono la radice del nome ebraico del disturbo che ha colpito l’organo o il tessuto (la scrittura ebraica trascrive su carta solo le consonanti di una parola) consente di soffiarvi all’interno le vocali necessarie a leggerlo ad alta voce.
È così che quel vuoto apparente di vocali tra le consonanti si riempie e si vivifica. Divenendo canto. Il nostro.
È questa la therapeia. Il soffio del nostro spirito che si fa spazio tra la materia per portarla alla vita.
Così ognuno di noi diventa guaritore di se stesso.
Ogni azione volta a riportare la nostra nota nella vita quotidiana è cura. Che si chiami essenza, presenza, qui e ora, attenzione, ascolto, presa di consapevolezza… non ha importanza. Ciò che conta è l’azione. Fare ciò che ci riporta qui. Occupare concretamente il nostro spazio e il nostro posto nel mondo.
È qui che per anni mi sono persa. In quella che per i greci è già epimeleia.
Epimeleia è l’accezione della cura che viene dall’assumersi la responsabilità di essere se stessi e far fiorire così la nostra esistenza. È il coraggio di portarci nel mondo e vivere.
Cura non è un concetto o una pratica appresa da qualcuno altro da noi una volta per tutte.
Cura è la scelta concreta e quotidiana di essere chi siamo. Da quando ogni mattina apriamo gli occhi fino a quando la sera li richiudiamo. Essere fedeli a noi. Nel nostro fare. Che diventa un dire, accudire, cucinare, ascoltare, accogliere, conoscere, imparare… Le azioni che di noi ci stanno in una vita sono tante e varie. Ma a monte c’è e ci deve essere sempre quel sì primigenio. Unito alla responsabilità di indossarlo nella pelle.
Ogni volta che ci facciamo andare bene le cose, che mandiamo giù il boccone, ogni volta che ci vietiamo di dire o fare ciò che si muove al nostro interno, ogni volta che ci critichiamo, ci censuriamo, ci lasciamo in fondo alla lista abbiamo abbandonato la promessa originaria.
Epimeleia ci ricorda che la cura, quella vera, è portarci alla luce del sole e viverci. Non c’è altro modo per far fiorire la nostra esistenza. Per occupare lo spazio di un vuoto. E conservare la nostra vita.
Brillare. Con coraggio. In nome e per conto di quella nota unica che suoniamo nel grande spartito del Creato.
E allora non esistono borse di Mary Poppins. Concetti astratti. E soluzioni empiriche copiate da altri che alla lunga perdono di senso e interesse. Esistiamo noi. E la coerenza con la quale ogni giorno, al sorgere del sole, ci scegliamo.
Quando cucino il cibo che fa stare bene il mio corpo. Quando medito. Quando corro ogni mattina alla prima luce del giorno. Quando parlo con i miei figli. Quando abbraccio mio marito. Quando telefono a mia madre. Quando aiuto nei compiti. Quando scrivo i miei libri. Quando rispondo al cellulare. Quando ricerco. Quando studio. Quando guardo il cielo e annuso l’aria … io sono cura.
E se qualcuno ti dice che è semplice … beh, non farti ingannare. Non c’è niente di semplice. Eppure tutto è possibile. Anche essere se stessi.
Ecco. Tutto questo è Mamy School.