L’ossessione sui grassi è stata solo fonte di un non effetto”.
Così T. Colin Campbell, professore emerito della Cornell Univesity, commenta l’attenzione eccessiva al “low fat”.
Una ossessione, commenta il ricercatore, che negli ultimi 40 anni ha portato a vendite esagerate di prodotti scremati (latte) o bollati dalle aziende come “low fat” spingendo a credere che queste tre parole abbiano qualche proprietà magica e speciale.
La verità, sottolinea il professore, è che “i tassi di incidenza sulle cardiopatie, ad esempio, non sono mai realmente cambiati con una dieta di questo tipo” e che come riporta Richard Béliveu, professore di Biochimica e titolare della cattedra di Prevenzione e trattamento del cancro presso la facoltà di medicina dell’UNI di Montréal, nel suo libro La dieta anti-cancro, “durante tutto il periodo in cui il credo “antigrasso” è stato più in voga, cioè dal 1980 al 2000, la percentuale di americani obesi è più che raddoppiata, passando dal 12 al 28% della popolazione (della quale non meno del 65% era in sovrappeso)”
Insomma, un classico esempio di come l’attenzione esagerata ad un nutriente ci ha sviati dal vero problema.
Nel 1975 Carrol Kent ha analizzato infatti il rischio di sviluppo del cancro al seno nelle diverse nazioni rispetto al contenuto di grassi nella dieta.
In questo studio si è visto come più alto è il consumo di grassi nella alimentazione in uno Stato e più alto è il rischio di incorrere nel cancro al seno. Questi risultati erano molto simili a quelli già effettuati da altri studi sul rapporto grassi e cardiopatie e da qui è nata l’idea che i grassi fossero necessariamente da bandire dalla nostra tavola.
Idea che ha dato il via al business del “low fat”.
Oggi si sa che non è così e che questa ossessione al low fat non solo non serve a nulla,
L’errore, spiega Campbell, “è stato quello di concentrarsi su 1 nutriente alla volta estrapolando i risultati dal contesto generale”.
Tuttavia dagli studi è evidente che c’è una specie di soglia, un livello medio di grassi entro il quale in teoria il rischio di insorgenza di patologie non c’è.
Questo livello si aggira intorno al 7-8% delle calorie totali.
“Questa è esattamente la quantità di grassi che ci serve- conclude Campbell-. Il nostro organismo ha bisogno di grassi, un bisogno indispensabile, ma in una percentuale corretta che si dimostra essere salutare”.
Ovviamente non tutti i grassi sono uguali. Ed esiste una profonda differenza tra grassi
vegetali (grassi polinsaturi) e grassi animali (grassi saturi).
Tuttavia, sostiene Campbell, “l’attenzione ossessiva su questa differenza porta a
porre l’accento solo sulla necessità di consumare preferibilmente i grassi insaturi (che fanno bene) a discapito dei grassi saturi accusati di fare male. E questo è giusto.
E’ impressionante infatti l’effetto che i grassi animali hanno sull’insorgenza del cancro sul quale sembra non esistere una soglia minima di accettabilità, ovvero appena introdotti subito il rischio di insorgenza della malattia aumenta. Una associazione che invece sembra non esserci con in grassi polinsaturi dei vegetali“.
Ma in troppo pochi spingono sul punto cruciale, ovvero sulla corretta quantità di grassi totali da dover consumare nella dieta.
“Un livello che si dimostra non dover superare il 10%. Al di sotto di questa soglia non si registra nessun aumento di rischio di insorgenza di malattia di alcun genere. Ma appena si sale, inizia la malattia. E questo va detto e ribadito“.
I giusti grassi, nella percentuale e proporzione corretta. Questa è la salute.]]>